martedì 27 gennaio 2015

UN GIORNO VENNERO A PRENDERE ME



Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,
e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei,
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Bertold Brecht

sabato 24 gennaio 2015

ME LO DOVEVANO DIRE

Quand'ero incinta la gente non faceva altro che "avvertirmi" di ciò che sarebbe accaduto poi. Così ho trascorso gran parte di quei dieci mesi (diciamocelo, la gravidanza ne dura dieci, non nove, di mesi) in uno stato di terrore assoluto. Quegli avvertimenti mi arrivavano da ogni parte -- in fila alla cassa da Target, per strada, mettendomi le scarpe, uscendo da yoga. Avvertimenti, avvertimenti ovunque di come sarebbero andate le cose -- dai dolori strazianti del parto a quell'ombra di me stessa che sarei diventata dopo aver dato alla luce mia figlia.........

Con tutti questi minacciosi avvertimenti a darmi l'impressione che la fine del mondo stesse per arrivare, si erano dimenticati di dirmi che cosa stava veramente per accadere.......


Me lo dovevano dire, che dopo tutte quelle ore di travaglio (metà delle quali rese assolutamente sopportabili dall'epidurale) la prima volta che avrei visto quel visino il cuore mi sarebbe esploso di gioia dal petto e sarebbe precipitato sul pavimento. Me lo dovevano dire che si può davvero piangere dalla felicità, che non puoi controllarti quando sei mamma e contempli la bellezza che tieni fra le braccia. Quindi tenetevi i fazzolettini di carta a portata di mano, e fate scorta di eyeliner resistente all'acqua.
Me lo dovevano dire che avrei amato mio marito ancor di più, una volta che sarebbe diventato padre del mio perfetto fagottino, che non sarei neanche più riuscita a ricordare come funzionasse quello vecchio, di amore. Che avremmo avuto delle difficoltà, dei litigi, perlopiù battibecchi, certo -- ma che avremmo creato delle nuove e divertenti abitudini passando il tempo al volante per la città con lei che ronfava sul sedile posteriore. Che le avremmo appioppato dei nomignoli ridicoli, facendocela sotto dal ridere. Che lui avrebbe finalmente imparato ad assicurarsi che ci fosse sempre una bottiglia di vino in casa per me, e che quella sarebbe stata la cosa più romantica che io avessi mai visto. Che avrei origliato mentre le cambiava i pannolini, dicendo: "Sono Papà. Pa-pà. Per prima cosa dirai Papà". E che in quel momento il mio cuore si sarebbe sciolto in un fiume di lava bollente, zampillandomi dal petto per finire di nuovo sul pavimento.........

Me lo dovevano dire che nonostante la stanchezza, svegliarsi per prendermi teneramente cura dei suoi bisogno sarebbe stata l'esperienza più gratificante della mia vita. Che quando ci saremmo ritrovate, noi due sole, sveglie alle quattro del mattino, avrei fatto tesoro di quel lieve silenzio che avvolgeva il mondo intero, il gatto ai miei piedi e la mia bimba fra le braccia mentre la allattavo, piangendo perché giorni come questi sono fugaci. Me lo dovevano dire che quando le tutine da neonata non le sarebbero più entrate la cosa mi avrebbe spezzato il cuore. Che certi giorni avrei trascorso le ore a osservarla, incurante delle scadenze. Che i suoi gridolini non mi avrebbero disturbato, ma mi avrebbero spronato ad agire, e che quando poi sarei riuscita a calmarla mi sarei sentita come una rockstar dopo un concerto. Che avrei dormito. Forse non ogni notte, e magari non troppe ore di fila. Ma che il mio turbamento più grande sarebbe stato temere che ogni volta che riposava sul mio petto poteva essere l'ultima. Che assaporarmi la sua condizione di neonata sarebbe diventato un lavoro a tempo pieno, il migliore che avrei mai avuto.......

Me lo dovevano dire che diventare una mamma avrebbe cambiato proprio tutto, ma che poi non avrei mai desiderato tornare a trovare la "vecchia" me, neanche per un secondo. Me lo dovevano dire che la mia vita stava per diventare tanto ricca e bella e appagante che un giorno mi sarei guardata indietro, contemplando le cose com'erano prima, e avrei pensato: "Povera me. All'epoca ancora non la conoscevo". 

domenica 18 gennaio 2015

BAMBINI ESTRATTI VIVI DAL GREMBO E UCCISI: PIANGONO E URLANO DI DOLORE


Sarebbero 18mila i bambini che muoiono durante aborti effettuati nel cosiddetto ultimo termine, la ventesima settimana, il limite massimo concesso dalla legge americana, bambini che sono ormai del tutto formati e in ottima salute. 
Lo ha detto il deputato Trent Franks in una intervista al sito LifeNews.com: "Bambini innocenti e senza difese che sentono tutto il dolore fisico di quanto si sta loro facendo ma che in molti casi sopravvivono anche fuori del grembo materno e che vengono uccisi senza neanche il minimo di anestesia". 
Urlano e piangono, ha detto ancora ma per via del liquido amniotico che copre le corde vocali invece dell'aria, non si sentono queste grida disperate. Ma non sempre è così: spesso queste urla e pianti si possono udire. 
Lo ha raccontato una ex dipendente della clinica abortista Kermit Gosnell di Philadelphia dicendo che durante un aborto è rimasta sconvolta dalle urla di un bambino che veniva ucciso dopo essere uscito dal grembo. Per resistere a queste scene, Sherry West, l'infermiera, ha detto che cercava di convincersi di trovarsi davanti a una sorta di cavia e non a un essere umano. 
La clinica in questione è adesso sotto processo per numerosi casi di omicidio di bambini uccisi dopo essere nati. Sherry West è tra i testimoni al processo e a proposito di quanto ha assistito, visibilmente sconvolta al ricordo, ha detto di non sapere come descrivere le urla che sentiva, paragonandole a quelle di una specie di alieno. Il parlamento americano nei prossimi giorni voterà una proposta di legge per ridurre il termine di aborto prima della ventesima settimana.

giovedì 15 gennaio 2015

SIAMO ANCHE I GENITORI DEI TRE ASSASSINI

«Noi siamo Charlie. Ma siamo anche i genitori dei tre assassini» è il titolo di una lettera bellissima di alcuni insegnanti francesi. È stata tradotta da Claudia Vago e diffusa in rete insieme a Roberto Ciccarelli. Ha ragione Claudia (ecco il suo blog) che scrive: “Questa lettera, scritta da quattro insegnanti di Seine-Saint-Denis, la periferia di Parigi di cui sentiamo parlare solo quando la disperazione brucia le automobili, apre uno squarcio di luce e ci impone interrogativi, anche a noi che non siamo francesi e non siamo stati direttamente colpiti dall’attacco a Charlie Hebdo”.

«Noi siamo Charlie. Ma siamo anche i genitori dei tre assassini»

Siamo professori di Seine-Saint-Denis. Intellettuali, scienziati, adulti, libertari, abbiamo imparato a fare a meno di Dio e a detestare il potere e il suo godimento perverso. Non abbiamo altro maestro all’infuori del sapere. Questo discorso ci rassicura, a causa della sua ipotetica coerenza razionale, e il nostro status sociale lo legittima. Quelli di Charlie Hebdo ci facevano ridere; condividevamo i loro valori. In questo, l’attentato ci colpisce. Anche se alcuni di noi non hanno mai avuto il coraggio di tanta insolenza, noi siamo feriti. Noi siamo Charlie per questo.
Ma facciamo lo sforzo di un cambio di punto di vista, e proviamo a guardarci come ci guardano i nostri studenti. Siamo ben vestiti, ben curati, indossiamo scarpe comode, o molto ovviamente al di là di quelle contingenze materiali che fanno sì che noi non sbaviamo sugli oggetti di consumo che fanno sognare i nostri studenti: se non li possediamo è forse anche perché avremmo i mezzi per possederli. Andiamo in vacanza, viviamo in mezzo ai libri, frequentiamo persone cortesi e raffinate, eleganti e colte. Consideriamo un dato acquisito que La libertà che guida il popolo e Candido fanno parte del patrimonio dell’umanità. Ci direte che l’universale è di diritto e non di fatto e che molti abitanti del pianeta non conoscono Voltaire? Che banda di ignoranti… È tempo che entrino nella Storia: il discorso di Dakar ha già spiegato loro. Per quanto riguarda coloro che vengono da altrove e vivono tra noi, che tacciano e obbediscano.
Se i crimini perpetrati da questi assassini sono odiosi, ciò che è terribile è che essi parlano francese, con l’accento dei giovani di periferia. Questi due assassini sono come i nostri studenti. Il trauma, per noi, sta anche nel sentire quella voce, quell’accento, quelle parole. Ecco cosa ci ha fatti sentire responsabili. Ovviamente, non noi personalmente: ecco cosa diranno i nostri amici che ammirano il nostro impegno quotidiano. Ma che nessuno qui venga a dirci che con tutto quello che facciamo siamo sdoganati da questa responsabilità. Noi, cioè i funzionari di uno Stato inadempiente, noi, i professori di una scuola che ha lasciato quei due e molti altri ai lati della strada dei valori repubblicani, noi, cittadini francesi che passiamo il tempo a lamentarci dell’aumento delle tasse, noi contribuenti che approfittiamo di ogni scudo fiscale quando possiamo, noi che abbiamo lasciato l’individuo vincere sul collettivo, noi che non facciamo politica o prendiamo in giro coloro che la fanno, ecc. : noi siamo responsabili di questa situazione.
Quelli di Charlie Hebdo erano i nostri fratelli: li piangiamo come tali. I loro assassini erano orfani, in affidamento: pupilli della nazione, figli di Francia. I nostri figli hanno quindi ucciso i nostri fratelli. Tragedia. In qualsiasi cultura questo provoca quel sentimento che non è mai evocato da qualche giorno: la vergogna.
Allora, noi diciamo la nostra vergogna. Vergogna e collera: ecco una situazione psicologica ben più scomoda che il dolore e la rabbia. Se proviamo dolore e rabbia possiamo accusare gli altri. Ma come fare quando si prova vergogna e si è in collera verso gli assassini, ma anche verso se stessi?
Nessuno, nei media, parla di questa vergogna. Nessuno sembra volersene assumere la responsabilità. Quella di uno Stato che lascia degli imbecilli e degli psicotici marcire in prigione e diventare il giocattolo di manipolatori perversi, quella di una scuola che viene privata di mezzi e di sostegno, quella di una politica urbanistica che rinchiude gli schiavi (senza documenti, senza tessera elettorale, senza nome, senza denti) in cloache di periferia. Quella di una classe politica che non ha capito che la virtù si insegna solo attraverso l’esempio.
Intellettuali, pensatori, universitari, artisti, giornalisti: abbiamo visto morire uomini che erano dei nostri. Quelli che li hanno uccisi sono figli della Francia. Allora, apriamo gli occhi sulla situazione, per capire come siamo arrivati qua, per agire e costruire una società laica e colta, più giusta, più libera,uguale, più fraterna.
«Nous sommes Charlie», possiamo appuntarci sul bavero. Ma affermare solidarietà alle vittime non ci esenterà della responsabilità collettiva di questo delitto. Noi siamo anche i genitori dei tre assassini.


Catherine Robert, Isabelle Richer, Valérie Louys et Damien Boussard

FORZA E DEBOLEZZA

 

Tu sarai amato il giorno in cui 
potrai mostrare la tua debolezza 
senza che l'altro se ne serva 
per affermare la sua forza. 

Cesare Pavese

martedì 13 gennaio 2015

RISPETTO = NON RIDERE DI ME



Qualcuno reclama il diritto di ridere degli altri. 
Dove ridere significa offendere gli altri.
Deridere è il contrario di rispettare. 
Se vogliamo rispetto dobbiamo rispettare.